M.d’A.
28 febbraio 2017 Lascia un commento
Ho iniziato a fare politica praticamente solo col PD e larga parte dei miei sforzi nei miei primi anni di attività sono stati focalizzati sul cercare di capire dinamiche, linguaggi e meccanismi della vita di partito. Non è stato semplicissimo e ho sempre patito un certo gap nei confronti di chi aveva cominciato la militanza alle superiori o chi veniva da famiglie storicamente militanti, e comunque ci ho provato lo stesso. Una tra le prime cose che ho imparato era che bisognava aver paura di D’Alema.
C’è stato un periodo in cui erano tutti veltroniani, ma molti per il terrore di cui sopra conducevano improbabili doppie vite cercando di essere dei dalemiani in sonno. Ricordo alcune iniziative GD in cui le domande spontanee del pubblico erano fatte fare anche su incarico – giustamente, tra gli scopi c’era anche quello di derbelinare il giovine militante costringendolo di fronte a una platea di militanti a esprimersi e a dire delle cose sensate. In qualcuna di queste situazioni credo di aver fatto delle pessime figure, per la verità.
A qualcuno in particolare toccava pure fare le domande a D’Alema. Tutti facevano gli indifferenti a parole ma in realtà questo compito era accolto con lo stesso spirito con cui si veniva mandati all’assalto alla baionetta: gli altri “big” del partito sorvolavano normalmente un teenager che chiedeva balbettando magari un’ovvietà, D’Alema no. Anzi, era in grado di farti fare una figura pessima anche senza nessun motivo particolare utilizzando ironia, sarcasmo e battutine sagaci, livello “Gordon Ramsay che ti becca a mettere le sottilette sui filetti di branzino”.
2012, corso di formazione a Bruxelles presso il Parlamento Europeo. Io e il compagno GM* arriviamo in hotel, facciamo l’accredito e ci svelano il programma: il tutto sarebbe cominciato con un intervento di Massimo D’Alema in un palazzo di una fondazione culturale zona Istituzioni Europee, sul resto del programma sostanziale buio ma ci ribadiscono di non far tardi all’incontro del mattino “altrimenti D’Alema si incazza…” “Ahah, simpatica questa!” “No, guarda, si incazza sul serio.” Ci raggiunge pian piano il resto della delegazione ligure che ci conferma di aver ricevuto lo stesso monito: “non fate tardi, altrimenti D’Alema si incazza”.
Il mattino dopo, ancora terrorizzati, arriviamo puntualissimi, ma poi i pullmann dell’organizzazione fanno un mezzo casino, partiamo in ritardo e ci scaricano lontanucci. Le nostre teoriche guide ci fan fare un giro del menga, ma col terrore negli occhi e in corpo arriviamo a sentire l’importantissimo discorso di D’Alema. Solo che il teatro è già pieno di gente che non c’entrava nulla col nostro corso e quindi ci sistemano in qualche sala random a vederci D’Alema in videoconferenza. Non ci sono ovviamente sedie e il tutto comincia in ritardo epico. All’inizio dell’intervento di D’Alema in inglese, cominciano a volare vari insulti dialettali dalle differenti delegazioni italiane. Il gruppo ligure era stremato dal viaggio e dalle birre belghe della sera prima, e dopo mezz’ora circa si chiedeva il silenzio per non disturbare una nutrita platea di consiglieri comunali, dirigenti di partito e stimati professionisti che dormivano appoggiati al muro. Alla fine dell’intervento sono stati svegliati con calma e siamo andati tutti con una faccia di tolla epica a salutare l’affascinante oratore, evidentemente compiaciuto del nostro sostegno. Ce la siamo quindi scampata: professionali e impeccabili come pochi.
E’ passato qualche anno, ma alla fine D’Alema s’è incazzato sul serio pare. Magari bastava fargli un po’ di claque quando aveva da dire due sue idee e si evitava sta beliscimo di scissione. Dovevamo pensarci prima, mannaggia.
*per motivi di privacy non posso rivelare il suo nome, visto che a Imperia lo conoscono tutti