Uno dei più noiosi dibattiti in corso sul PD riguarda il modello di partito e di leader da seguire – ovvero il modello Corbyn o quello Macron. Entrambi leader che davano per spacciati, che hanno ottenuto, in parte per meriti loro, in parte per obiettivi colpi di fortuna, risultati altrimenti insperati.
Come saprete, mi diletto a suonare in giro (principalmente nei Mostly Harmless, se volete buttarci un occhio e un orecchio), principalmente cover -> ovvero canzoni di gente molto più famosa e brava di noi. Un particolare tipo di gruppo cover è la “tribute band”, ovvero un ensemble che fa brani di un solo gruppo/musicista, normalmente ricreando anche parte dello show e dei costumi del “tributato”. Sono gruppi che suscitano sentimenti contrastanti che passano dall’adorazione assoluta al completo disinteresse. In ogni caso, sono una categoria dell’entertainment e non possono e non devono diventare una categoria della politica: trasformare un partito o un leader in una tribute band è quanto di più sbagliato che ci possa essere, perchè le situazioni sono incredibilmente diverse da paese a paese.
Le due proposte principali di Corbyn, ad esempio, che lo hanno fatto diventare un idolo dei giovani britannici è la ri-statalizzazione delle ferrovie britanniche e l’abbassamento delle tasse universitarie, arrivate in media in UK a 9000 £ l’anno – nonostante le nostre grane, possiamo dire di non avere problemi simili in Italia. La Gran Bretagna è da 30 anni che punta molto su liberalizzazioni, privatizzazioni & co, comprensibile che una parte di popolazione voglia aggiustare un po’ il tiro. E poi certo, i Tories pure se sono più forti hanno una guerra interna da anni che in confronto il PD è il Partito dell’Ammmore.
Il “caso Macron” è speculare. La Francia è un grande Paese, con istituzioni solide e serie, ma ha una burocrazia e una rigidità sistemica molto alta, è quindi comprensibile che proposte liberalizzatrici – finchè sono sulla carta – possano attrarre consenso. Macron poi si è preso praticamente tutto per una combinazione di eventi favorevoli mai più riproducibile nemmeno in laboratorio (suicidio di PS e MR, sistema a doppio turno, avversario FN quindi invotabile per la maggior parte dei francesi, elezioni parlamentari in piena luna di miele presidenziale e paura verso una nuova “cohabitation”).
A me piacciono molto sia Corbyn acclamato come una rockstar al Festival di Glastonbury che Macron che difende l’Europa e il Trattato sul Clima. Il rischio che vedo nell’ispirarsi troppo a questi modelli è che magari si parta col voler fare un tributo e si finisca col fare un’involontaria caricatura. Che poi porterebbe pure probabilmente pochi risultati, perchè entrambe, prese pari pari, c’entrano ben poco col nostro Paese. Io mi concentrerei su quel che serve a quest’ultimo.
Stavo notando come gli stessi identici numeri possano essere visti come cose radicalmente diverse da iscritti allo stesso partito – il mio, ça va sans dire.
Il 40 % alle Europee del 2014 è per alcuni la dimostrazione dell’ottima guida di Renzi, per altri la dimostrazione che un partito plurale “produce”. Il 40 % del referendum per alcuni è una pesante sconfitta, per altri è la conferma del risultato delle Europee.
Ci sono poi quelli che dicono che il 40 % di Corbyn è miracoloso e quello di Macron è dovuto a circostanze locali irripetibili, e altri che viceversa.
Se riuscissimo, tra tutti, a ragionare su quanto è davvero 40 magari avremmo poi meno problemi.
Stanno succedendo cose strane al PD e al suo congresso. O meglio, non tanto strane, anzi troppo normali. Però è il primo che si svolge senza una video parodia del Terzo Segreto di Satira, e già questo forse ne giustificherebbe l’annullamento.
Partiamo dai fondamentali: il PD è rimasto l’unico attore presente nelle piazze, nei circoli e nelle istituzioni e per di più ha una procedura democratica chiara per la scelta della linea politica: non sono quisquilie nei momenti di grandi successo delle “aziende partito” e dei “nemici sdoganati della Repubblica”.
Detto questo, il PD esce da una fase di luci e ombre, in cui globalmente il suo Governo ha ben lavorato, specie in alcune serie riforme e nel campo dei diritti delle minoranze. Dall’altra parte, l’accentrarsi sul Governo di tutte le energie ha portato a un indebolimento generale del PD e questo ha portato a una serie di drammatiche sconfitte in almeno due tornate elettorali amministrative e locali. Un approccio conflittuale e non inclusivo con ampie fette di società ci ha poi portato a una drammatica sconfitta al referendum costituzionale e dovremo quindi archiviare per un bel pezzo urgenti riforme istituzionali nel programma del centrosinistra da qualche decennio. Credo che siano spunti su cui dover riflettere.
Credo che le migliori risposte per il PD, il centrosinistra e l’Italia le dia in questo momento la candidatura di Andrea Orlando a Segretario in vista delle sfide che toccheranno prossimamente al nostro Paese.
Ma se anche non vi convincesse questa proposta, penso sia comunque importante andare a votare a queste primarie per chiunque vi convinca. Certo, se è Orlando, è meglio!
Negli scorsi mesi due episodi molto brutti hanno ben definito il clima sociale in cui parte del Ponente vive – due articoli online che hanno dato sfogo sul web all’espressione dei peggiori pregiudizi di purtroppo tante persone, considerate per lo più “per bene”.
I due casi sono stati quello della “puerpera spostata dalla sua camera perchè la sua compagna di camera musulmana non voleva infedeli” e degli “extracomunitari che rubano i bidoni per la differenziata porta a porta”. I due casi si sono poi rivelati essere il primo dovuto a precauzioni mediche e il secondo semplicemente un trasloco – e già qui siamo sul grottesco. Il secondo caso è “fresco fresco” e le reazioni social sono ancora in corso, nel primo caso i fenomeni di intolleranza e razzismo non si sono fermati neppure di fronte alle smentite del personale medico, del direttore dell’ASL e dell’assessora regionale alla Sanità (leghista, poco sospettabile di essere “buonista”).
In realtà però gli episodi riguardavano (oltre allo strisciante razzismo nostrano) ognuno due aspetti molto sentiti e spunto di polemiche, ovvero il punto nascite di Imperia (sempre a rischio chiusura) e l’avvio della nuova modalità di raccolta dei rifiuti a Sanremo. Mettere assieme l’intolleranza e la polemica localistica può essere quindi fortemente sfruttabile anche per il futuro. La vita della stampa oggi è difficile, basata su like, condivisioni e reazioni emotive. Non possiamo fare a meno della stampa e consiglio agli amici giornalisti di pensare a queste altre notizie dello stesso tenore. Usatele pure, ve le regalo.
Immigrati albanesi imperversano a Sanremo durante il Festival – la settimana matuziana di Ermal Meta e Anna Oxa
Corriere RT sempre in ritardo per venire incontro alle esigenze degli immigrati provenienti da altri fusi orari
“Ormai troviamo alimenti extracomunitari ovunque” Neofascisti in crisi di fronte allo stoccafisso norvegese nel brandacujun
“Non ne possiamo più delle vostre cazzo di rose, andate via!” Kebabbaro caccia floricoltori dal proprio locale
“E’ ora di finirla con queste unioni dello stesso sesso” Parroco tradizionalista scioglie il coro delle Mamme Canterine di Ceriana
Ho iniziato a fare politica praticamente solo col PD e larga parte dei miei sforzi nei miei primi anni di attività sono stati focalizzati sul cercare di capire dinamiche, linguaggi e meccanismi della vita di partito. Non è stato semplicissimo e ho sempre patito un certo gap nei confronti di chi aveva cominciato la militanza alle superiori o chi veniva da famiglie storicamente militanti, e comunque ci ho provato lo stesso. Una tra le prime cose che ho imparato era che bisognava aver paura di D’Alema.
C’è stato un periodo in cui erano tutti veltroniani, ma molti per il terrore di cui sopra conducevano improbabili doppie vite cercando di essere dei dalemiani in sonno. Ricordo alcune iniziative GD in cui le domande spontanee del pubblico erano fatte fare anche su incarico – giustamente, tra gli scopi c’era anche quello di derbelinare il giovine militante costringendolo di fronte a una platea di militanti a esprimersi e a dire delle cose sensate. In qualcuna di queste situazioni credo di aver fatto delle pessime figure, per la verità.
A qualcuno in particolare toccava pure fare le domande a D’Alema. Tutti facevano gli indifferenti a parole ma in realtà questo compito era accolto con lo stesso spirito con cui si veniva mandati all’assalto alla baionetta: gli altri “big” del partito sorvolavano normalmente un teenager che chiedeva balbettando magari un’ovvietà, D’Alema no. Anzi, era in grado di farti fare una figura pessima anche senza nessun motivo particolare utilizzando ironia, sarcasmo e battutine sagaci, livello “Gordon Ramsay che ti becca a mettere le sottilette sui filetti di branzino”.
2012, corso di formazione a Bruxelles presso il Parlamento Europeo. Io e il compagno GM* arriviamo in hotel, facciamo l’accredito e ci svelano il programma: il tutto sarebbe cominciato con un intervento di Massimo D’Alema in un palazzo di una fondazione culturale zona Istituzioni Europee, sul resto del programma sostanziale buio ma ci ribadiscono di non far tardi all’incontro del mattino “altrimenti D’Alema si incazza…” “Ahah, simpatica questa!” “No, guarda, si incazza sul serio.” Ci raggiunge pian piano il resto della delegazione ligure che ci conferma di aver ricevuto lo stesso monito: “non fate tardi, altrimenti D’Alema si incazza”.
Il mattino dopo, ancora terrorizzati, arriviamo puntualissimi, ma poi i pullmann dell’organizzazione fanno un mezzo casino, partiamo in ritardo e ci scaricano lontanucci. Le nostre teoriche guide ci fan fare un giro del menga, ma col terrore negli occhi e in corpo arriviamo a sentire l’importantissimo discorso di D’Alema. Solo che il teatro è già pieno di gente che non c’entrava nulla col nostro corso e quindi ci sistemano in qualche sala random a vederci D’Alema in videoconferenza. Non ci sono ovviamente sedie e il tutto comincia in ritardo epico. All’inizio dell’intervento di D’Alema in inglese, cominciano a volare vari insulti dialettali dalle differenti delegazioni italiane. Il gruppo ligure era stremato dal viaggio e dalle birre belghe della sera prima, e dopo mezz’ora circa si chiedeva il silenzio per non disturbare una nutrita platea di consiglieri comunali, dirigenti di partito e stimati professionisti che dormivano appoggiati al muro. Alla fine dell’intervento sono stati svegliati con calma e siamo andati tutti con una faccia di tolla epica a salutare l’affascinante oratore, evidentemente compiaciuto del nostro sostegno. Ce la siamo quindi scampata: professionali e impeccabili come pochi.
E’ passato qualche anno, ma alla fine D’Alema s’è incazzato sul serio pare. Magari bastava fargli un po’ di claque quando aveva da dire due sue idee e si evitava sta beliscimo di scissione. Dovevamo pensarci prima, mannaggia.
*per motivi di privacy non posso rivelare il suo nome, visto che a Imperia lo conoscono tutti
Alcuni appunti per un congresso prossimo venturo. Nessun nome, giusto qualche riflessione. Partiamo con la (auspicabile?) fine del “sindacanesimo”, ovvero quel fenomeno che ha portato ad allargare mandato, credibilità e rappresentanza delle figure dei primi cittadini negli anni scorsi. Mi rendo conto che può suonare strano in un momento in cui pare si sfideranno al Congresso del PD gli ex Sindaci di Firenze e di Bari, ma tant’è.
Dall’elezione dirette del sindaco si è assistito a un’accelerata incredibile della distruzione dei “corpi intermedi” (partiti, sindacati, rappresentanza varia). A parziale sostituzione è emersa a un certo punto l’immagine salvifica del Sindaco, come persona scelta “dallaggente” e legata al territorio. In molti casi sono i Sindaci in persona a mettere una pezza agli enormi problemi di funzionamento delle istituzioni.
Ci sono però enormi “mah” che saltano fuori dopo aver visto all’opera il “sindacanesimo spinto”. Partiamo dall’ex Sindaco più rampante d’Italia, Matteo Renzi. Certo, è riuscito a brillare come Sindaco di Firenze, ma amministrava una delle principali mete turistiche del globo, un capoluogo di Regione florido e sano, inserito in un sistema politico-amministrativo funzionante. Non tutti i Sindaci arrivano da un simile retroterra (nel nostro Paese credo ci siano solo 6/7 realtà paragonabili) e dunque punti di vista, capacità, aspettative e visione non possono essere date per garantite di default.
Alla prova dei fatti e dei numeri, pensare che i Sindaci possano tout court sostituire i partiti come collettori di voti è drammaticamente fallita: in diverse occasioni è stata messa alla prova ed è stato dimostrato come possano essere utili, ma non sono in grado di essere loro stessi sostitutivi dei corpi intermedi. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto il patto sociale che li elegge e gli da legittimità è basato su questioni molto locali e di comunità, che prescindono spesso visioni politiche.
Traendo inoltre legittimità e ruolo da una comunità ristretta, quando devono trattare un interesse generale che travalica le dimensioni del comune di origine sono in condizioni di perenne conflitto di interesse, come stanno dimostrando in tante occasioni le esperienze in corso in vari organi di secondo livello. E credo che sia un imbarazzo cui farebbero per lo più volentieri a meno.
Magari alla fine far fare a ognuno il proprio mestiere – il sindaco al sindaco, il partito al partito, l’elettore all’elettore – potrebbe essere anche la cosa più semplice.
Questo è il testo del ddl Chiti, ovvero quello che disciplina l’elezione diretta dei Senatori dopo l’approvazione della riforma. Renzi è più bravo di me e ieri ha fatto vedere la scheda, io sono un po’ più nerd e vi linko gli articoli. Dunque non è vero che i Senatori non verranno più scelti dai cittadini, ma succederà che alle regionali sceglieremo direttamente anche chi andrà in Senato.
Certo, come tutte le leggi elettorali di tutti gli organi costituzionali (Camera, Regioni, Comuni, etc) non è inserita direttamente in Costituzione, nè per questioni procedurali poteva essere approvata prima del referendum (a Riforma non approvata sarebbe di fatto incostituzionale).
Se vince il sì, c’è già la legge elettorale per il Senato pronta, già sostenuta da un’ampia maggioranza parlamentare e votabile anche da quelli che si lamentano del Senato non elettivo.
Se vince il no, bisogna fare una legge elettorale comunque perchè l’attuale legge elettorale (il Porcellum) per il Senato è stata bocciata dalla Consulta. Manca però una bozza condivisa su con che cosa sostituirla, e prima o poi le elezioni comunque ci sono, ma non si sa come andarci.
Come già detto, voto sì. Alcuni “spunti” che valgono sia per il sì che per il no per ragionarne assieme, cercando di andare oltre la demagogia e al quantitativo di musse (ndt “esagerazioni”) che entrambi i fronti han messo in campo.
Tanti voteranno sul Renzi sì – Renzi no, invece che sul testo della Riforma proposta. Il maggior responsabile di questo misunderstanding generalizzato è il succitato Presidente del Consiglio. Ciò non di meno, la domanda è un’altra, ovvero se si vuole o meno la Riforma proposta. Molti usano toni tragici sulla vicenda, a me sembra che comunque vada non diventiamo né la Svezia né lo Swaziland – le modifiche riguardano di fatto solo parte del procedimento legislativo, lasciando intatti ruoli e funzioni della stragrande maggioranza degli Organi Costituzionali. Ci saranno conseguenze politiche ed economiche sul voto? Sicuramente, ma la cosa più seria e giusta resta rispondere al quesito in base a ciò che si pensa.
L’introduzione di un Senato Territoriale fa parte dei programmi del Centrosinistra da fine anni ’80 ed era parte integrante dei programmi elettorali e dei congressi politici dal 1996 in poi. Di fatto, è una proposta approvata anche dal centrodestra, che storicamente però vorrebbe cambiare anche la forma di Governo da Parlamentare a (Semi)Presidenziale, cosa che non viene però fatta. Parte della sinistra vorrebbe tenere la Costituzione così com’è. M5S non ha una posizione chiara su ciò che vuol fare.
1- Costi
Messi tutti assieme, qualsiasi tipo di calcolo di tagli al costo delle istituzioni repubblicane non è in grado di migliorare sensibilmente le condizioni macroeconomiche del nostro Paese, perché bene che vada si calcola nelle ipotesi più estreme (tutte da dimostrare) di meno dell’uno per diecimila del Bilancio Generale dello Stato. Sono ligure e so bene il detto “Tutt’u fa – dixeva chelu c’u pisciava in t’u mà” (ndt “ogni cosa contribuisce – sosteneva chi orinava verso il mare”). C’è dunque una questione equità – importante – ma il vero tema dovrebbe essere la qualità della politica e delle Istituzioni, prima che il loro costo. E questo vale sia per i sostenitori del Sì che del No.
2- Enti locali
Le Province vengono abolite definitivamente. Dico la mia: è un errore, equivalente a dar fuoco al computer se non riesci a far girare bene Excel. Ma questa è un’idea che coltivo in estrema minoranza, ché qui tutti sognano le Province sul patibolo.
3- Senato
Il sistema attuale prevede sostanzialmente una parte della Costituzione inattuata – il Senato “eletto a base regionale” è sostanzialmente eletto come la Camera, per 14 regioni su 20 le circoscrizioni elettorali coincidono con le Regioni stesse, nelle altre 6 la circoscrizione regionale per il Senato è semplicemente divisa in due o tre circoscrizioni per la Camera. Di fatto, è difficile che oggi come oggi si vada a votare in maniera significativamente diversa alla Camera e al Senato. Di fatto quindi, le due Camere sono un doppione.
Il prossimo Senato prevede compiti diminuiti, molto meno politici – di fatto importanti solo in poche materie ordinamentali -, una composizione di 74 consiglieri regionali e 21 sindaci scelti dalle Regioni e 5 senatori (non a vita come oggi) scelti dal Presidente della Repubblica. In Francia, Germania, Austria, Olanda, Irlanda, Slovenia il Senato è composto da rappresentanti scelti da altri Enti. A riforma approvata, potranno essere presentate e approvate leggi perché tali rappresentanti vengano scelti dai cittadini. Esistono già bozze in tal senso, ma non possono essere presentate perché fino a riforma istituzionale approvata sarebbero incostituzionali.
Come ho già scritto (anche se è brutto autocitarsi), fare il Senatore nel prossimo Senato non è la “pacchia” di oggi e quindi non credo allo scenario “fanno così perché così poi se li scelgono loro tra i loro amici”: “loro” se li scelgono già oggi, in numero maggiore e con meno vincoli. Quindi, liberi tutti di dire che il nuovo Senato non piace, ciò non di meno NON è fatto su esigenze “particolari”.
4- CNEL
Non è mai servito a niente, sono trent’anni che si dice unanimemente di eliminarlo e di chiuderlo, esclusi parenti e amici dei consiglieri e dipendenti non riesco umanamente a capire chi ancora fa distinguo.
5- Unione Europea
Unica questione nel testo: ovunque fosse scritto “ordinamento comunitario” in Costituzione è stato sostituito con “ordinamento dell’Unione Europea”. Giuridicamente è equivalente, è solo più preciso dal momento che le Comunità Europee sono diventate l’Unione Europea. Dunque, qualsiasi polemica su questo punto è causata dall’ignoranza o dalla malafede.
6- Deriva autoritaria
Brunetta e il M5S rivendicano entrambi di aver coniato questo termine e normalmente quando questi concordano c’è qualcosa che non va. Io non vedo termini che la rendano più plausibile rispetto al sistema attuale e non è nemmeno citata come rischio nei documenti firmati dai Costituzionalisti per il No. Inoltre, credo che bisogna essere conseguenti con quello che si dichiara: l’immunità parlamentare serve proprio per tutelare l’opposizione, dove non esiste, è molto facile per il partito di Governo arrestare gli oppositori politici e gli “alleati scomodi” come sta facendo Erdogan in Turchia o Putin in Russia – è uno dei famosi “costi della democrazia”. Nell’Italia democratica suona più come un privilegio, ma non capisco come possano gli stessi che paventano un rischio dittatura opporsi contemporaneamente all’utilizzo di questa forma di tutela per l’opposizione.
La mia idea è che tanti sostenitori del No si siano fatti prendere la mano senza sostanziali ragioni e si corre il rischio che a evocare alcuni mostri (dittatura) ne compaiano altri (spaccature sociali insanabili e ciò che ne consegue).
7- Competenze Stato – Regioni
Viene risolto in larga parte il caos creato con la Riforma del 2001 e la sciagurata invenzione della Legislazione Concorrente tra Stato e Regioni, che ha ingolfato la Corte Costituzionale di ricorsi tra Stato e Regioni per il 50 % del suo tempo. La divisione delle competenze in qualche caso non mi piace – o meglio, penso che porterà a problemi in una fase iniziale in cui le normative su alcuni campi sono molto diverse tra Regione e Regione. Di certo, diminuiranno i ricorsi alla Corte Costituzionale.
8- L’articolo 70 è lungo
Pare che le 441 parole con cui si norma il processo legislativo differenziato per temi tra Camera e Senato siano troppe. La Costituzione Belga (sostanzialmente paragonabile sul tema) le norma in 733, divise in 7 articoli. Se andiamo poi a vedere la suddivisione… No, ma sul serio, vi sembra un’obiezione che un articolo è troppo lungo? 🙂
9- Quello che non si è fatto
Manca un ridimensionamento delle funzioni delle Regioni a Statuto Speciale, l’introduzione della possibilità per il Presidente del Consiglio di far dimettere un Ministro e la precisazione che l’inno nazionale è “Fratelli d’Italia” di Mameli – Novaro. Se ne ricorderanno al prossimo giro speriamo. Resta il fatto che si vota su quel che c’è, non su quel che non c’è, che se no è come chiedere sushi in pizzeria.
10- Referendum e proposte di legge popolare
L’Italia è storicamente un paese che ricorre molto al referendum, o almeno molto più della maggioranza dei paesi europei. Ci sono alcune novità:
– referendum abrogativo: rimane la procedura attuale, proponibile con 500.000 firme, valido con quorum 50 % degli elettori, con l’aggiunta che se vengono presentate 800.000 firme il quorum è il 50 % dei votanti alle ultime elezioni politiche – attualmente quindi il 38 %.
– referendum propositivo e consultivo: viene introdotta la possibilità di svolgerli. Da normare in seguito, ma sono concrete possibilità prima inesistenti.
– proposte di legge popolari: aumentano le firme necessarie per poterle presentare 50.000 a 150.000 e viene introdotto l’obbligo per la camera di discuterle. A oggi, per sapere di cosa si parla su 260 proposte presentate, approvate solo 3, e negli ultimi anni le proposte sono arrivate con centinaia di migliaia di firme (cus’u l’è u prugressu).
C’è qualcuno che sostiene che tutto questo sia una diminuzione complessiva delle possibilità che da la democrazia diretta. Credo si possa sostenere ciò solo per serio analfabetismo funzionale o malafede.
Coraggio, ci siamo quasi. Che comunque, le stesse domande ce le poniamo più o meno dal 1993.
La capitale sempre più distante. Per coprire i costi potrebbero scendere in campo le realtà economiche più interessate: ad esempio imprenditori e operatori turistici
di FRANCESCO LA SPINA 15 novembre 2016
Ultimissima ora, ennesima beffa per la Liguria: niente “Direttissima” per il treno del tardo pomeriggio Roma-Genova. Sull’edizione di domenica, nell’anticipare la nuova griglia dei collegamenti Frecciabianca a partire dal cambio orario di dicembre, avevamo scritto che il nuovo istradamento via Firenze, con disco verde posticipato alle 18.55, doveva essere confermato. Ebbene, ieri, intorno alle 15, è arrivata la marcia indietro di Trenitalia: l’ultimo treno FB continuerà a lasciare la stazione Termini alle 18.27 e a percorrere la linea tirrenica, ma anche la sua traccia sarà impostata a una percorrenza di 4 ore e 53 minuti, con fermate aggiunte, rispetto a oggi, a Campiglia Marittima, Viareggio, Massa e Chiavari (arrivo ore 22.44). Aumentando, così, di 36 minuti la percorrenza la FB 8630 (questa la nuova numerazione ufficiale) arriverà a Brignole alle 23.13 (attualmente lo fa alle 22.36) e a Principe alle 23.20 (non più alle 22.44). Addio, quindi, anche al “contentino” per i viaggiatori liguri di avere a disposizione una mezz’oretta in più nella capitale.
Intervenendo sull’edizione di ieri di Repubblica l’assessore regionale ai trasporti, Gianni Berrino, all’ennesimo chiaro messaggio arrivato da Trenitalia (“Se volete un treno veloce per e da Roma dovete pagarvelo”) ha risposto con altrettanta limpidezza (“Sborsiamo già col Contratto di servizio per il trasporto regionale e non siamo assolutamente in condizione di sostenere costi per coprire i Genova-Roma”) aggiungendo quel mantra che si è già rivelato perdente nella disputa: “Doveva essere Trenitalia a offrire questi convogli al mercato e il mercato avrebbe risposto”. Posizioni inconciliabili con la società di trasporto ferroviario che sembra avere saldamente il coltello dalla parte del manico, soprattutto perche situazioni analoghe riguardano altre zone d’Italia, dove per ottenere il servizio le realtà territoriali (e non solo, attenzione, gli enti amministrativi) hanno dovuto attingere alle loro finanze.
“Ma quanto costa far viaggiare un singolo treno?” è la domanda che qualunque cittadino si pone per poter capire meglio la questione. Gli elementi in gioco sono tantissimi alla pari di fattori variabili caso per caso. In linea di massima possiamo indicare come fondamentali: acquisto e manutenzione del materiale, che al minimo, per quello “pendolare” si aggira sui 5 euro a chilometro (e, dunque, per gli elettrotreni impiegati sulla Genova-Roma il valore è superiore); pagamento della infrastruttura (7,5 euro/km che Trenitalia versa a Rete Ferroviaria Italiana per l’occupazione dei binari); costo del personale (3 euro/km); costo dell’energia elettrica per la trazione (1 euro/km). Siamo a 16 euro a chilometro per ciascun treno, cifra media perchè considerando che i pedaggi sulle linee “ad alta velocità” sono maggiori e che su ciascun convoglio si deve spalmare una quota del costo complessivo del “carrozzone” societario, si sale a 20 euro/km.
Facciamo gli ottimisti, ci manteniamo su un valore intermedio, applichiamo questo calcolo al nostro Genova-Roma: fra le due città la distanza ferroviaria è di circa 500 km, ogni coppia di treni ne copre 1000 al giorno per cui il loro costo quotidiano è di 17000 euro; moltiplichiamo questo importo per 365 giorni e arriviamo a 6 milioni e 200mila euro circa annuali. Trenitalia, essendo gli FB treni “a mercato”, vuole che questo costo sia coperto e se non bastano (come non bastano) gli introiti dalla vendita dei biglietti il resto deve arrivare da altre vie. Come già accade altrove in Italia.
Dal 2009, ad esempio, la Regione Friuli Venezia Giulia tira fuori 2 milioni di euro per far sì che, ogni giorno, i Frecciabianca per/da Milano e Torino raggiungano Udine e Trieste e non siano limitati a Venezia (dove termina la tratta remunerativa). Ed è notizia freschissima quella relativa all’approdo dei treni Frecciarossa a Potenza e Taranto a partire dal prossimo mese (con attesa istituzione dei collegamenti automobilistici FrecciaLink su Matera, capitale europea della cultura nel 2019): chiunque si rende conto che il movimento passeggeri in quei territori sarà scarsissimo e che, almeno per ora, non c’è mercato, ma la Regione Basilicata s’è accordata con Trenitalia e scucirà un po’ più di 3 milioni di euro all’anno (si era partiti da 5) per avere questo servizio ferroviario di prestigio.
E torniamo ai 6 milioni di euro che potrebbero (condizionale d’obbligo) coprire il costo dei Genova-Roma via Firenze da 220-230 minuti circa di percorrenza. La Regione non ha fondi a cui attingere? Non è detto che debba essere lei a farlo totalmente. Potrebbero scendere in campo le realtà economiche più interessate: ad esempio imprenditori e operatori turistici con le loro associazioni di categoria, industriali e agenti marittimi, i commercianti.
Il meccanismo sarebbe, poi, davvero terra terra: basterebbe che Trenitalia vedesse preacquistati un 55-60% dei posti andata e ritorno (con precisa garanzia a monte, naturalmente) per avere il placet del suo amministratore delegato, Barbara Morgante, che a sua volta otterrebbe dall’ad di Rfi, Maurizio Gentile, il ritrovamento diquella traccia utile sulla Direttissima Firenze-Roma fagocitata da Frecciarossa e Italo; tutto poi benedetto dall’ad del Gruppo Fs, Renato Mazzoncini. Impossibile da dicembre? Sì, ma con un’immediata azione concertata l’obiettivo potrebbe essere ottenuto magari già da marzo 2017.
E poi chi l’ha detto che il collegamento veloce per Roma debba essere quotidiano? Se fosse operato dal lunedì al venerdì? Costerebbe molto meno…
Ottimo articolo di Repubblica, pessime notizie. Liguria sempre più isolata e lontana dalla capitale.
Bisogna sussidiare un servizio di trasporto ferroviario veloce per Roma? Non è una bestemmia, si può fare e probabilmente ha senso farlo. Se si tratta però di fondi regionali, non ha alcun senso che il treno veloce debba collegare a Roma solo Genova: se si fa 30, si faccia 31 e facciamolo partire da Ventimiglia, dato che trattasi di territorio ligure anche il Ponente e dato che ha problemi di collegamenti col resto d’Italia peggiori del resto della Liguria.
Per lavoro sto girando vari piccoli comuni liguri per una roba da fare con le amministrazioni locali. Ovunque trovo… twitter.com/i/web/status/1…4 days ago
RT @milazzo_pietro: L'ordinanza del GIP di Crotone deve far riflettere (soprattutto noi che lo abbiamo fatto) sui disastri del liceo classi… 3 weeks ago
RT @lmisculin: Colpa degli scafisti, della gente che non vuole i confini, dell’Europa, dei governi precedenti, dice l’attuale governo. Di t… 3 weeks ago
Ogni commento a questo blog è più che gradito basta che sia firmato, se non lo trovate subito scritto è perchè viene messo in moderazione prima di essere pubblicato per prevenire spam e flame.
Questo blog non è una testata giornalistica in quanto non viene aggiornato con regolare periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
***
Le fonti, che nei casi specifici vengono citate, sono: i quotidiani, i settimanali, i periodici locali e nazionali, cartacei e online, le televisioni pubbliche, private, nazionali e locali.